mercoledì 27 settembre 2017

113 A Zacinto (di Ugo Foscolo)



Il sonetto, composto probabilmente tra l’agosto 1802 e l’aprile 1803, è dedicato a Zante (Zacinto con espressione grecizzante), l’isola nel Mar Ionio dove Foscolo nacque. È la sua patria reale, dunque, ma è anche una patria ideale, osservata con nostalgia, come facevano altri romantici europei che vedevano nella Grecia classica l’espressione suprema della bellezza (la figura di Venere) e dei più alti valori umani (la poesia di Omero). In Ulisse, inoltre, Foscolo vede se stesso, esule, destinato a morire lontano da ogni affetto familiare, avversato dagli uomini e dalla fortuna. 

Nè più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e féa quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio,
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

PARAFRASI:

Non toccherò mai più le sponde sacre
dove giacque [nella culla] il mio corpo di bambino,
mia Zacinto, che ti rifletti come in uno specchio nelle onde
del mare greco da cui nacque giovinetta

Venere, che rese quelle isole feconde
con il suo primo sorriso, e per questo non poté non parlare
delle tue limpide nubi e della tua vegetazione
l’illustre poesia di colui che cantò

le acque fatali, e l’esilio errabondo,
in seguito ai quali bello di fama e di sventura
Ulisse baciò [infine] la sua Itaca rocciosa.

Tu non avrai altro che il canto del figlio,
o materna terra mia; a me il destino
ha prescritto una sepoltura senza lacrime [su cui nessuno verserà lacrime, quindi abbandonata, solitaria].








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