giovedì 28 settembre 2017

114 Alla Musa (di Ugo Foscolo



È il primo dei sonetti maggiori, scritti fra il 1802 e il 1803. Il poeta esprime qui una profonda delusione nei confronti della vita, ancor maggiore in quanto gli viene a mancare la sorgente dell’ispirazione poetica, un tempo abbondante ed ora ridotta a una favilla. Il concetto, espresso in modi intimi e pacati, trascende il dato autobiografico e sembra diventare una riflessione sul destino comune a tutti gli uomini, che, attraverso il dolore, si dirigono tutti verso la riva muta della morte.

Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, aonia Diva,
quando de' miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto

questa che meco per la via del pianto
scende di Lete vèr la muta riva:
non udito or t'invoco, oimè! soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
o Dea! tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco:

però mi accorgo, e mel ridice Amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.

PARAFRASI:

Eppure tu riversavi abbondanza vitale [alma = che nutre] di canto
sulle mie labbra una volta, Musa dell’Aonia [regione della Beozia sacra alle Muse],
quando passava fuggente la prima stagione
dei miei anni fiorenti [la giovinezza], e dietro le veniva intanto

questa che con me lungo la via del pianto
scende verso la muta riva del Lete [il fiume dell’oblio e della morte]:
ora t’invoco ma non sono udito, ahimè! soltanto
una favilla del tuo spirito è viva.

E tu sei fuggita in compagnia delle ore [del tempo che passa],
o Dea! tu mi lasci continuamente alle pensose
rimembranze [del tempo passato], e al timore cieco [oscuro, imprevedibile] del futuro:

però mi accorgo, e Amore me lo ripete,
che le scarse e faticose [o elaborate] rime [che scrivo] non possono
dar sfogo al dolore che deve dimorare con me.



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