venerdì 1 settembre 2017

102 Martellino e il beato Arrigo (di Giovanni Boccaccio)



Il tema della seconda giornata del Decameron è quello di un lieto fine conseguente a un fatto che non lasciasse speranza di uscirne.
La prima novella è ambientata a Treviso, dove tre giovinastri, pur di vedere con i propri occhi chi sia quel sant’uomo che, posto nel Duomo, fa accorrere una moltitudine di trevigiani, architettano uno scherzo che porta uno di loro agli arresti e quasi all’impiccagione, se non fosse per l’intervento di un nobile signore. La novella racconta fatti storici, riferiti con estrema precisione dai più autorevoli testimoni contemporanei: la vita umile di facchino del sant’uomo, originario di Bolzano, il miracoloso suonare delle campane alla sua morte, il trasporto in Duomo fra l’entusiasmo popolare, i primi miracoli, fra cui la guarigione di un paralitico. Arrigo venne beatificato e ancor oggi nel Duomo di Treviso vi è un altare a lui dedicato.

[Giornata seconda: 1]
Martellino, infignendosi attratto, sopra santo Arrigo fa vista di guarire e, conosciuto il suo inganno, è battuto e poi preso; e in pericol venuto d’essere impiccato per la gola, ultimamente scampa.

Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi altrui s’è di beffare ingegnato, e massimamente quelle cose che sono da reverire, s’è colle beffe e talvolta col danno sé solo ritrovato. Il che, acciò che io al comandamento della reina ubbidisca e principio dea con una mia novella alla proposta, intendo di raccontarvi quello che prima sventuratamente e poi, fuori di tutto il suo pensiero, assai felicemente ad un nostro cittadino adivenisse.
Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi, chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di portare pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e, con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli adivenne, secondo che i trivigiani affermano, che nell’ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trivigi tutte, senza essere da alcuno tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il suo corpo giaceva, quello a guisa d’un corpo santo nella chiesa maggiore ne portarono, menando quivi zoppi, attratti e ciechi e altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.
In tanto tumulto e discorrimento di popolo, avvenne che in Trivigi giunsero tre nostri cittadini, de’ quali l’uno era chiamato Stecchi, l’altro Martellino e il terzo Marchese, uomini li quali, le corti de’ signori visitando, di contraffarsi e con nuovi atti contraffacendo qualunque altro uomo li veditori sollazzavano. Li quali quivi non essendo stati giammai, veggendo correre ogni uomo, si maravigliarono, e udita la cagione per che ciò era disiderosi divennero d’andare a vedere.
E poste le lor cose ad uno albergo, disse Marchese: «Noi vogliamo andare a veder questo santo, ma io per me non veggio come noi vi ci possiam pervenire, per ciò che io ho inteso che la piazza è piena di tedeschi e d’altra gente armata, la quale il signor di questa terra, acciò che romor non si faccia, vi fa stare; e oltre a questo la chiesa, per quel che si dica, è sì piena di gente che quasi niuna persona più vi può entrare».
Martellino allora, che di veder questa cosa disiderava, disse: «Per questo non rimanga, ché di pervenire infino al corpo santo troverrò io ben modo».
Disse Marchese: «Come?»
Rispose Martellino: «Dicolti. Io mi contraffarò a guisa d’uno attratto, e tu dall’un lato e Stecchi dall’altro, come se io per me andar non potessi, mi verrete sostenendo faccendo sembianti di volermi là menare acciò che questo santo mi guarisca; egli non sarà alcuno che veggendoci non ci faccia luogo e lascici andare».
A Marchese e a Stecchi piacque il modo; e senza alcuno indugio usciti fuor dell’albergo, tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe e oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcuno che veduto l’avesse, che non avesse detto lui veramente esser tutto della persona perduto e rattratto. E preso, così fatto, da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono in vista tutti pieni di pietà, umilemente e per l’amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava che loro luogo facesse, il che agevolmente impetravano; e in brieve, riguardati da tutti e quasi per tutto gridandosi «Fa luogo! fa luogo!», là pervennero ove il corpo di santo Arrigo era posto; e da certi gentili uomini, che v’erano da torno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, acciò che per quello il beneficio della santà acquistasse. Martellino, essendo tutta la gente attenta a veder che di lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che ottimamente fare lo sapeva, a far sembiante di distendere l’uno de’ diti e appresso la mano e poi il braccio, e così tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sì gran romore in lode di santo Arrigo facevano, che i tuoni non si sarieno potuti udire.
Era per avventura un fiorentino vicino a questo luogo, il quale molto bene conoscea Martellino, ma per l’esser così travolto quando vi fu menato non l’avea conosciuto; il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente cominciò a ridere e a dire: «Domine, fallo tristo! Chi non avrebbe creduto, veggendol venire, che egli fosse stato attratto da dovero?»
Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incontanente il domandarono: «Come! non era costui attratto?»
A’ quali il fiorentino rispose: «Non piaccia a Dio! Egli è sempre stato diritto come qualunque è l’un di noi, ma sa meglio che altro uomo, come voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi in qualunque forma vuole».
Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti: essi si fecero per forza innanzi e cominciarono a gridare: «Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de’ santi, il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro santo e noi, qui a guisa d’attratto è venuto!» E così dicendo il pigliarono e giù del luogo dove era il tirarono, e presolo per li capelli e stracciatili tutti i panni indosso gl’incominciarono a dare delle pugna e de’ calci; né parea a colui essere uomo che a questo far non correa. Martellin gridava «Mercé per Dio!» e quanto poteva s’aiutava, ma ciò era niente: la calca gli multiplicava ognora addosso maggiore.
La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese cominciarono fra sé a dire che la cosa stava male, e di se medesimi dubitando non ardivano a aiutarlo, anzi con gli altri insieme gridando ch’el fosse morto, avendo nondimeno pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del popolo; il quale fermamente l’avrebbe ucciso, se uno argomento non fosse stato il qual Marchese subitamente prese; che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria, Marchese, come più tosto poté, n’andò a colui che in luogo del podestà v’era e disse: «Mercé per Dio! Egli è qua un malvagio uomo che m’ha tagliata la borsa con ben cento fiorin d’oro; io vi priego che voi il pigliate, sì che io riabbia il mio».
Subitamente, udito questo, ben dodici de’ sergenti corsero là dove il misero Martellino era senza pettine carminato, e alle maggior fatiche del mondo, rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo a palagio; dove molti seguitolo che da lui si tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era stato preso, non parendo loro avere alcuno altro più giusto titolo a fargli dar la mala ventura, similmente cominciarono a dir ciascuno da lui essergli stata tagliata la borsa. Le quali cose udendo il giudice del podestà, il quale era un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo, sopra ciò lo’ncominciò a essaminare. Ma Martellino rispondea motteggiando, quasi per niente avesse quella presura: di che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare ciò che coloro dicevano, per farlo poi appiccar per la gola.
Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a lui dicevano, non valendogli il dir di no, disse: «Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi a ciascun che m’accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto e quel che no».
Disse il giudice: «Questo mi piace»; e fattine alquanti chiamare, l’uno diceva che gliele avea tagliata otto dì eran passati, l’altro sei, l’altro quatro, e alcuni dicevano quel dì stesso.
Il che udendo Martellino disse: «Signor mio, essi mentono tutti per la gola! e che io dica il vero, questa pruova ve ne posso fare: che così non fossi io mai in questa terra entrato, come io mai non ci fui se non da poco fa in qua; e come io giunsi, per mia disaventura andai a veder questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l’uficial del signore il quale sta alle presentagioni e il suo libro e ancora l’oste mio. Per che, se così trovate come io vi dico, non mi vogliate a instanzia di questi malvagi uomini straziare e uccidere».
Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, li quali avevan sentito che il giudice del podestà fieramente contro a lui procedeva, e già l’aveva collato, temetter forte, seco dicendo: «Male abbiam procacciato; noi abbiamo costui tratto della padella e gittatolo nel fuoco». Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno e l’oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono; di che esso ridendo, gli menò ad un Sandro Agolanti, il quale in Trivigi abitava e appresso al signore aveva grande stato; e ogni cosa per ordine dettagli, con loro insieme il pregò che de’ fatti di Martellino gli tenesse.
Sandro, dopo molte risa, andatosene al signore impetrò che per Martellino fosse mandato; e così fu. Il quale coloro che per lui andarono trovarono ancora in camiscia dinanzi al giudice e tutto smarrito e pauroso forte, per ciò che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire; anzi, per avventura avendo alcuno odio ne’ fiorentini, del tutto era disposto a volerlo far impiccar per la gola e in niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto che costretto non fu di renderlo a suo dispetto. Al quale poi che egli fu davanti, e ogni cosa per ordine dettagli, porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse andare, per ciò che infino che in Firenze non fosse sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di tutti e tre di così gran pericolo usciti, sani e salvi se ne tornarono a casa loro.

L’altare del Beato Arrigo nel Duomo di Treviso

PARAFRASI IN ITALIANO MODERNO

Martellino, fingendosi storpio, posto sopra il corpo di santo Arrigo fa finta di guarire e, conosciuto il suo inganno, viene battuto e poi arrestato; e rischiato d’esser impiccato per la gola, ultimamente la scampa.

Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi si è ingegnato di beffare gli altri, e massimamente su quelle cose che sono da riverire, si è ritrovato solo con le beffe e talvolta con il danno. Il che, affinché al comandamento della regina ubbidisca e dia inizio con una mia novella alla sua proposta, intendo di raccontarvi quello che prima sventuratamente e poi, oltre ogni sua immaginazione, assai felicemente accadde ad un nostro concittadino.
C’era, non molto tempo fa, un tedesco a Treviso, chiamato Arrigo, il quale, essendo un povero uomo, si offriva di portare pesi a pagamento per chi glielo richiedeva; e, malgrado questo, era considerato da tutti uomo di vita santissima e buona. Per la qual cosa, vero o non vero che fosse, quando morì [il 10 giugno 1315] avvenne, secondo quello che i trevigiani affermano, che nell’ora della sua morte tutte le campane della maggior chiesa di Treviso, senza essere da alcuno tirate, cominciarono a sonare. Il che sembrando un miracolo, tutti dicevano che questo Arrigo era un santo; e recatosi tutto il popolo della città alla casa nella quale il suo corpo giaceva, proprio come se fosse un corpo santo nella chiesa maggiore lo portarono, conducendo qui zoppi, storpi e ciechi e chiunque altro soffrisse di qualunque infermità o difetto, quasi che tutti dovessero, nel toccare questo corpo, divenir sani.
In tanto tumulto e via vai di popolo, avvenne che a Treviso giunsero tre nostri cittadini, dei quali uno era chiamato Stecchi, l’altro Martellino e il terzo Marchese, uomini che, visitando le corti dei signori, divertivano gli altri trasformandosi e con nuovi atti contraffacendo chiunque. Essi, che qui non erano mai stati, vedendo correre ogni uomo, si meravigliarono, e uditane la ragione per cui ciò succedeva, divennero desiderosi d’andare a vedere.
E depositate le loro cose in un albergo, disse Marchese: «Noi vogliamo andare a veder questo santo, ma secondo me non vedo come noi ci possiamo arrivare, dato che ho inteso che la piazza è piena di tedeschi [connazionali di Arrigo che era di Bolzano] e d’altra gente armata, che il signor di questa terra [Manno della Branca da Gubbio, podestà ghibellino] vi fa stare, affinché non ci siano tumulti; e oltre a questo la chiesa, per quel che si dice, è così piena di gente che quasi nessuna persona vi può più entrare».
Martellino allora, che desiderava veder questa cosa, disse: «Per questo non si eviti di fare la cosa, perché troverò io ben il modo di giungere fino al corpo santo».
Disse Marchese: «Come?»
Rispose Martellino: «Te lo dico. Io mi contraffarò a guisa d’uno storpio, e tu da una parte e Stecchi dall’altra, come se io non potessi camminare da solo, mi verrete sostenendo, mostrando di volermi condurre là affinché che questo santo mi guarisca; non ci sarà alcuno che vedendoci non ci faccia passare e non ci lasci andare».
A Marchese e a Stecchi piacque il modo; e senza alcun indugio, usciti fuor dell’albergo, arrivati tutti e tre in un luogo solitario, Martellino si storse talmente le mani, le dita e le braccia e le gambe e oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che a vederlo pareva una cosa spaventosa; non ci poteva essere nessuno che, vedendolo, non avesse detto che lui veramente era tutto paralizzato nel corpo e rattrappito. E sostenuto, così fatto, da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si avviarono all’apparenza tutti pieni di pietà, umilmente e per l’amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi a loro si parava, che li lasciassero passare, il che agevolmente ottenevano; e in breve, guardati da tutti e quasi per tutto gridandosi «Fate passare! Fate passare!», là giunsero dove il corpo di santo Arrigo era posto; e da certi uomini autorevoli, che v’erano attorno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, affinché grazie a quel contatto egli acquistasse il beneficio della sanità. Martellino, essendo tutta la gente attenta a osservare che cosa gli capitasse, dopo esserci stato alquanto, cominciò, dato che ottimamente lo sapeva fare, a far sembiante di distendere una delle dita e appresso la mano e poi il braccio, fino a distendersi tutto. La gente, vedendo questo, si mise a fare un così gran rumore in lode di santo Arrigo, che i tuoni non si sarebbero potuti udire.
C’era per caso in questo luogo un fiorentino, il quale molto bene conosceva Martellino, ma, per esser egli così sfigurato quando vi era stato portato, non l’aveva riconosciuto; ma quando lo vide dritto e lo riconobbe, subitamente cominciò a ridere e a dire: «Signore, dagli il malanno! Chi non avrebbe creduto, vedendolo venire, che egli non fosse storpio per davvero?»
Alcuni trevigiani udirono queste parole e immediatamente gli domandarono: «Come! non era costui storpio?»
Ai quali il fiorentino rispose: «Non piaccia a Dio! Egli è sempre stato diritto come lo è qualunque di noi, ma lui sa meglio di ogni altro uomo, come voi avete potuto vedere, far questi scherzi di contraffarsi in qualunque forma vuole».
Come costoro ebbero udito questo, non ci volle altro: essi si fecero con la forza innanzi e cominciarono a gridare: «Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e dei santi, il quale, non essendo paralitico, per schernire il nostro santo e noi, qui a guisa di paralitico è venuto!» E così dicendo lo pigliarono e giù dal luogo dove era lo tirarono, e presolo per i capelli e stracciatigli tutti i panni indosso incominciarono a dargli pugni e calci; a lui non pareva che ci fosse alcuno che non partecipasse al tafferuglio. Martellino gridava «Mercé per Dio!» e quanto poteva s’aiutava, ma ciò era inutile: la calca gli si addensava addosso sempre di più.
Vedendo questa cosa Stecchi e Marchese cominciarono fra sé a dire che la cosa andava male, e temendo di se medesimi non ardivano ad aiutarlo, anzi con gli altri insieme gridavano che fosse ucciso, avendo nondimeno pensiero di come fare per poterlo trarre dalle mani del popolo; il quale sicuramente l’avrebbe ucciso, se non fosse che Marchese prese subitamente una decisione; essendoci di fuori la famiglia tutta della signoria [ossia le guardie del podestà], Marchese, come più in fretta poté, andò da colui che rappresentava il podestà e disse: «Mercé per Dio! Vi è qua un malvagio uomo che m’ha tagliata la borsa [cioè mi ha derubato] con ben cento fiorini d’oro; io vi prego che voi lo pigliate, così che io riabbia il mio».
Subitamente, udito questo, ben dodici sergenti corsero là dove il misero Martellino era senza pettine pettinato [cioè battuto], e con le maggiori fatiche del mondo, rotta la calca, tutto pesto e tutto rotto lo afferrarono e lo portarono al palazzo del podestà; dove molti che da lui si sentivano scherniti lo seguirono e avendo udito che era stato arrestato in quanto tagliaborse, non parendo loro avere alcuno altro più giusto titolo per fargli del male, similmente cominciarono a dire tutti di essere stati derubati da lui. Udendo questo il giudice del podestà, il quale era un ruvido uomo, portatolo prestamente da parte, sopra ciò incominciò a esaminarlo. Ma Martellino rispondeva motteggiando, quasi tenesse in nessun conto quell’arresto: di che il giudice turbato, fattolo legare alla fune, gli fece dare parecchie tratte di quelle buone con animo di fargli confessare ciò che coloro dicevano, per farlo poi impiccare per la gola.
Ma allorché egli fu posto in terra, domandandogli il giudice se fosse vero ciò che coloro dicevano contro di lui, non essendogli d’aiuto dir di no, disse: «Signor mio, io son pronto a confessarvi il vero, ma fatevi dire da ciascun che mi accusa quando e dove io gli tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto e quel che no».
Disse il giudice: «Questo mi piace»; e fatti chiamare alquanti degli accusatori, uno diceva che era stato derubato otto giorni prima, un altro sei, un altro quattro, e alcuni dicevano quel dì stesso.
Udendo questo Martellino disse: «Signor mio, essi mentono tutti per la gola [sfacciatamente]! e che io dica il vero, questa prova ve ne posso fare: così io non fossi mai in questa terra entrato, come io mai non ci fui se non da poco fa; e come io giunsi, per mia disavventura andai a vedere questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve lo può confermare l’ufficiale del signore che sta alle presentagioni [cioè l’incaricato al quale dovevano presentarsi i forestieri, al loro arrivo in una città, per far registrare il loro nome] e il suo libro e ancora l’oste [l’albergatore] mio. Perciò, se così trovate come io vi dico, non mi vogliate come questi malvagi uomini straziare e uccidere».
Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, i quali avevano sentito che il giudice del podestà fieramente contro lui procedeva, e già l’aveva legato alla corda, temettero assai, dicendo tra sé: «Male abbiam procacciato; noi abbiamo tratto costui dalla padella e l’abbiamo gettato nel fuoco». Per cui, dandosi da fare con ogni sollecitudine e avendo ritrovato il loro oste, gli raccontarono quello che era successo; ed egli ridendo del fatto, li portò da un certo Sandro Agolanti [appartenente ad una nobile famiglia cacciata da Firenze nella seconda metà del Duecento; alcuni documenti di inizio Trecento parlano di Agolanti risiedenti a Treviso e a Venezia, dove erano prestatori di denaro, ossia usurai] , il quale abitava a  Treviso e appresso al signore [che in realtà nel 1315 non esisteva a Treviso, essendo stato l’ultimo dei Caminesi cacciato nel 1312; quindi qui, come più sopra, Boccaccio si riferisce al podestà] aveva grande autorità; e ogni cosa per ordine dettagli, insieme con loro lo pregò che dei fatti di Martellino si prendesse cura.
Sandro, dopo molte risa, recatosi dal signore impetrò di mandare qualcuno a favore di Martellino; e così fu. Lo trovarono ancora in camicia dinanzi al giudice e tutto smarrito e pauroso forte, dato che il giudice nessuna cosa voleva udire a sua scusa; anzi, per avventura avendo egli alcuno odio contro i fiorentini, del tutto era disposto a volerlo far impiccar per la gola e in nessun modo voleva consegnarlo al signore, finché non fu costretto a farlo a suo dispetto. Quando gli fu davanti e gli ebbe detta ogni cosa, lo pregò con somma grazia che lo lasciasse andare via, dato che, finché non fosse a Firenze, sempre gli sarebbe sembrato di avere il capestro attorno alla gola. Il signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e fatto donare un abito a ciascuno, oltre alla speranza che tutti e tre erano usciti da così gran pericolo, sani e salvi se ne tornarono a casa loro.

Miniatura raffigurante in successione alcuni momenti di questa novella





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