venerdì 29 settembre 2017

115 In morte del fratello Giovanni (di Ugo Foscolo)



Questo sonetto fu composto nel 1802 in memoria del fratello Giovanni Dionigi, che si uccise con una pugnalata, in presenza della madre, dopo che venne scoperto e denunciato per un furto di denaro dalle casse militari dell’esercito cisalpino (nel quale era ufficiale), con cui intendeva riparare un grosso debito di gioco. Pur nella tonalità tragica del contenuto (il suicidio del fratello, il desiderio del Foscolo stesso di uccidersi, la disperazione tempestosa del vivere), si sente un’intima e dolce mestizia, che si accentra soprattutto nella figura della madre, comunque legata d’amore ai propri figli, quello morto e quello lontano.

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentili anni caduto.

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,

sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quïete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l'ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.

PARAFRASI:

Un giorno, se non andrò sempre fuggendo
di gente in gente [allude alle continue peregrinazioni in varie città italiane], mi vedrai seduto
sulla tua tomba, fratello mio, gemendo
il fiore reciso dei tuoi anni gentili [la tua vita spezzata quand’era ancora in fiore].

Ora la madre sola, trascinando la sua stanca vecchiezza [in realtà aveva solo 55 anni],
parla di me con la tua cenere muta [perché non può dare risposte]:
ma io tendo le mani deluse [quasi in un’inutile preghiera] verso di voi;
e se da lontano saluto i miei tetti [quelli veneziani; Foscolo si trovava allora a Milano]

sento gli dei che mi sono avversi, e quei segreti
affanni che furono come una tempesta per la tua vita,
e anch’io prego [di trovare] pace nel tuo porto [quello della morte].

Questo mi resta oggi di tante speranze [provate un tempo]!
O genti straniere [presso le quali presagisce di morire], restituite allora
le mie ossa al petto della mia triste madre.



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