mercoledì 6 dicembre 2017

141 L’invasione del Mata Gato (di Jorge Amado)



L’invasione del Mata Gato consiste nell’occupazione delle terre di un ricco ladrone da parte di una massa di miserabili (i veri protagonisti del romanzo “I guardiani della notte”, del 1964), che vi costruiscono la propria favela: tra questi spicca Colpo-di-Vento, che per un certo periodo ha aiutato i moribondi a passare a miglior vita ed ora si è dedicato alla scienza, o Negro Massu sfrattato dalla baracca in cui vive da anni senza pagare mai l’affitto e che crede che ciò che è del governo è del popolo, o dona Filó, che affitta i propri sette figli a un’organizzazione che chiede l’elemosina in città.

Aveva esagerato Cuica quando, nel lungo titolo della sua storia in versi, parla di un quartiere costruito dal popolo in 48 ore. Esattamente una settimana gli ci era voluto per acquisire l’aspetto di un quartiere, a quella invasione, la prima portata ad effetto nella città di Bahia. Oggi il Mata Gato è un quartiere vero e proprio, e vi sorge perfino la facciata adorna di una delle Panetterie Madrid, appartenente alla rete del Pepe Ottocento, situata esattamente di fronte alla casa di Negro Massu. Altre invasioni si sono realizzate poi con successo, interi quartieri sono nati dalle parti della Liberdade, nel Nordest di Amaralina, si è avuta l’invasione di Chimbo al Rio Vermelho, e gli Alagados, con la loro città sulle acque. I poveri debbono vivere, abitare da qualche parte, nessuno è in grado di restare indefinitamente affidato alla grazia del buon Dio, deve pur avere un tetto sulla testa; e chi ce li ha i soldi per pagare l’affitto?
Perfino noi, nottambuli impenitenti, abbiamo bisogno di tanto in tanto di reclinare la testa da qualche parte, di andarcene a casa nostra. Vivere senza una casa è impossibile, lo stesso Colpo-di-Vento, tipo senza orari né impiego fisso, a cacciar rane e topi, serpenti, lucertole verdi e altri animali per i laboratori di analisi, abituato al vento e alla pioggia, cui piaceva dormire sulla sabbia della spiaggia e ivi rovesciar mulatte, visto che ne andava pazzo: perfino Colpo-di-Vento la cui natura a tutto si adatta, ha provato come i suoi animali la necessità di trovarsi una tana ove infilarsi. Fu lui per così dire il precursore dell’invasione.
In quei terreni del Mata Gato si era costruito, con le foglie dei cocchi, pezzi di legno, tavolette recuperate dalle casse e altri materiali gratuiti, una casupola per abitarci. Si muoveva nei paraggi, alla ricerca di animali. Non mancavano, nel torrentello vicino, rospi e ranocchie, bastava scendere un po’ verso la foce del fiume. Topi di ogni specie e misura ce n’era d’avanzo là intorno, specialmente in una cascina non lontana, sulla strada di Brotas. Nella boscaglia delle colline dei dintorni si trovava di tutto: lucertole, serpenti velenosi e no, lucertoloni, teiú (1), a volte qualche lepre o qualche volpe. E pesci di fiume e di mare per l’alimentazione. A parte i granchi di vario tipo.
Aveva tirato su la sua baracca e vi aveva abitato per lungo tempo senza essere disturbato. Distante dal centro, quasi non veniva mai nessuno a trovarlo, solo quando si trascinava dietro un amico per uno stufato di pesce, o una mulatta a veder la luna. Mai si era preoccupato Colpo-di-Vento, di verificare se quei terreni così vasti e abbandonati avessero un padrone, se stesse o no commettendo un atto illegale nel tirar su la sua misera baracchetta.
Fu quello che disse a Massu una volta che il negro comparve nei paraggi, invitato da lui a mangiare uno stufato di pesce. Colpo-di-Vento cucinava bene, era un asso per preparare la moqueca (2) di pesce: rombi, triglie, carpe, dentici, pescati da lui stesso. Quante volte non portava in regalo a Tibéria o a Mastro Manuel pesci di quattro cinque chili, o infilate di sardine, polipi, razze? E andava a cucinare la moqueca, andando avanti e indietro sul peschereccio di Manuel, sorridendo a Maria Clara, oppure circondato dalle ragazze della «casa» di Tibéria. Uno stufato di pesce preparato da Colpo-di-Vento era roba da leccarsi i baffi.
Una volta ogni morte di papa gli capitava di cucinarla nella sua capanna e d’invitare al Mata Gato un amico. Suo cibo di tutti i giorni era un pezzetto di carne secca, un po’ di farina e rapadura (3): Colpo-di-Vento si contentava di poco e c’erano stati tempi in vita sua in cui non aveva neppure la carne secca, solo farina e rapadura. Erano i tempi in cui lui si spostava per l’interno, esercitando la devota professione di aiutare i moribondi a morire.
Sapete com’è: esistono di quei moribondi ostinati, sempre sul punto di andarsene e renitenti alla partenza, nient’affatto intenzionati a mollare il corpo, mettendoci giorni e giorni a esalare l’ultimo respiro, complicando la vita di amici e parenti. Forse è perché hanno ancora qualche peccato da scontare sulla terra, necessitano di orazioni. Era appunto in quel tipo di orazioni che si era specializzato Colpo-di-Vento, nell’aiutare quei moribondi difficili ad attraversare la porta dell’altro mondo, lasciando la famiglia in pace con le sue lacrime protocollari e i preparativi per il funerale, per i cibi e le bevande destinati alla veglia. Di quelle veglie funebri spettacolari, con la cachaça (4) che correva a fiumi e roba da mangiare degna d’una festa.
Chi aveva parenti condannati acidi, duri a morire, attaccati alla lucernina della vita senza voler mollare, già sapeva cosa fare: mandavano a chiamare Colpo-di-Vento, contrattavano le condizioni di pagamento, lui non era esoso nei prezzi; poi lui s’incaricava del defunto. Seduto accanto al letto, iniziava le orazioni, faceva coraggio al parente:
«Coraggio, che Dio t’aspetta. Dio con tutta la corte celeste.»
Con la sua voce profonda cantava: «Ora pro nobis
C’erano altri e altre che raccomandavano l’anima ai moribondi nelle vicinanze. Ma nessuno così rapido e sicuro come Colpo-di-Vento. In mezz’ora, un’ora al massimo, il moribondo spegneva la candela, se ne volava a godersi le delizie del paradiso promesso da Colpo-di-Vento. Solo una condizione lui poneva alla famiglia prossima a prendere il lutto: che lo lasciassero solo col tipo, non restassero a disturbarlo con la loro presenza. Uscivano tutti; di fuori si udiva la voce di Colpo-di-Vento in preghiera e consigli:
«Muori in pace, fratello, con Gesù e Maria…»
Una volta, un parente più curioso aveva aperto la porta all’improvviso e constatato l’estensione dell’aiuto di Colpo-di-Vento. Che andava ben oltre la preghiera, visto che egli aiutava il partente anche col gomito, ficcandolo nella pancia del suddetto, tagliandoli quel po’ di fiato che ancora gli restava.
Il parente aveva fatto un baccano d’inferno e così aveva avuto fine la carriera di Colpo-di-Vento come raccomandator di moribondi. C’erano state minacce di vendetta che l’avevano spinto a trasferirsi nella capitale. Aveva allora costruito la sua capanna al Mata Gato e conosciuto Jesuíno Gallo Pazzo in occasione della dipartita del marito di una comare del vecchio vagabondo, duro ad abbandonare le sue spoglie mortali. In quell’epoca Colpo-di-Vento non si era ancora deciso a dedicare i suoi talenti alla scienza, come importante collaboratore di laboratori di ricerche.
Ma questo curioso e ricco passato di Colpo-di-Vento poco interessa alla storia dell’invasione del Mata Gato. Ne parliamo unicamente per constatare la presenza di almeno un abitante in quelle terre, un bel po’ di tempo prima dell’arrivo di Massu.
Negro Massu, steso sulla sabbia, sorbendosi una cachaça, il naso che aspirava l’odore appetitoso della moqueca; guardava il paesaggio dintorno, il mare azzurro, la spiaggia candida, le palme da cocco mosse dalla brezza, e chiedeva a se stesso perché mai non si era trasferito ad abitare già da tempo. Era il luogo ideale per abitarci, non ci sarebbe potuto essere luogo migliore.
Negro Massu attraversava in quel momento una seria crisi. Il padrone della baracca in cui alloggiava da anni, in compagnia della sua nonnetta centenaria e del suo bambino piccolo, si era stancato infine di continuare a richiedere l’affitto, in ritardo ormai di quattro anni e sette mesi, il tempo esatto durante il quale Massu aveva abitato là. Non aveva mai pagato un soldo. Non perché fosse per natura imbroglione: al contrario, poche persone così serie e corrette come lui. Non pagava perché, alla fine del mese, gli veniva sempre a mancare il denaro per l’affitto. A volte, Massu faceva uno sforzo, metteva insieme alcuni nichel raccattati qua e là, lavorando a portar carichi oppure al gioco del bicho (5), pensando all’affitto da pagare, all’impegno assunto. Ma sempre, regolarmente, gli capitava qualcosa d’inatteso, una celebrazione importante, una festa imprescindibile, ed ecco che svanivano le riserve, quelle precarie economie.
Una volta il proprietario della baracca, titolare di una macelleria nelle vicinanze, era andato a riscuotere personalmente. Aveva trovato solo la negra vecchia Veveva (6), non aveva avuto il coraggio di buttarla fuori, aveva lasciato un’ambasciata per Massu. Un’altra volta, aveva trovato Massu in atto di accomodare il tetto che faceva acqua da tutte le parti, il negro era arrabbiato, schifezza di tetto, una baracca di merda, non serviva a niente, affitto carissimo, ed eccoti il macellaio a urlare per avere i soldi dell’affitto, così, da un momento all’altro. Sbuffava il negro, scese dal tetto, i muscoli che brillavano al sole, gridò più forte. Il proprietario se n’era andato senza ulteriori discussioni, promettendo anzi di far accomodare i buchi del tetto.
Ma recentemente una compagnia aveva comprato terreno e baracca, il macellaio aveva venduto a prezzo piuttosto conveniente perché non vedeva possibilità di cavarci niente, né pensava che Massu se ne andasse tanto presto.
La compagnia ci avrebbe costruito una fabbrica, avevano comprato una quantità di terreno tutto intorno, buttavano giù case e baracche, davano un termine breve, un mese, per levarsi dai piedi. E offrivano a tutti lavoro, nella costruzione prima, nella fabbrica poi. Negro Massu aveva capito che non gli restava altro da fare che cercarsi un’altra casa.
E là, sdraiato sulla sabbia, mangiando il pesce eccellente, aveva interrogato Colpo-di-Vento: «Di chi è il terreno per qui?»
Colpo-di-Vento aveva considerato la domanda, pensieroso:
«So mica, no… Ci ha padrone no…»
«Tu ha già visto (7) terra non aver padrone? Tutto ha padrone al mondo…»
«Penso che è del governo…»
«Be’, se è del governo è di noi gente…»
«E è proprio davvero?»
«Allora tu non sa che governo è lo stesso che popolo?»
«Tu ci crede che è? Il governo è ma della polizia.»
«Tu non capisce. Io lo so, l’ho perfino sentito dire in un comizio. Tu non frequenta comizi, per quello tu non sa le cose…»
«Saperle perché? A che serve?»
Negro Massu lasciava che l’olio gli colasse giù dagli angoli della bocca, stufato di pesce speciale! Posto migliore per abitarci non c’era.
«Tu lo sa, Colpo-di-Vento, mi sa che divento tuo vicino… Mi faccio una baracca per me. Per portarci la vecchina e il bimbo…»
Colpo-di-Vento faceva un gesto largo con la mano:
«Posto è che ce n’è davanzo, fratellino. Anche foglie di cocco…»
Così fu che pochi giorni dopo Negro Massu ricomparve in compagnia di Martim, di Ippisilonne, di Garofano-all’Occhiello, di Jesuíno Gallo Pazzo (8). In un carretto portava del materiale, un seghetto, un martello, chiodi. Colpo-di-Vento collaborava con un nuovo stufato di pesce. L’unico a non essere venuto era Curió: era occupato con Madame Beatriz.
Massu si tirò su la casina, e venne perfino carina. Garofano-all’Occhiello, cui in gioventù avevano insegnato il mestiere di imbianchino, aveva scelto i colori per porte e finestre, azzurro e rosa, impugnato il pennellone. Lo faceva come semplice dilettante, per dare una mano agli amici. In fondo aveva orrore di quel lavoro.
Seduto, Ippisilonne, la pancia piena di pesce, guardava Garofano-all’Occhiello che dipingeva porte e finestre mentre Massu, Martim e Jesuíno tiravano su le pareti, di fango pestato. Sospirò:
«Mi viene una stanchezza a vedervi lavorare…»
Era fatto così, Ippisilonne: molto solidale con gli amici, ovunque si trovassero era con loro. Pronto a collaborare con consigli e opinioni, intenditore di molte cose, un intellettuale, leggeva riviste, perfino. Ma un fisico delicato, si stancava facilmente.
Mentre costruivano, gustavano le delizie del luogo. Quella sera Jesuíno fece l’elogio del Mata Gato cenando in casa di Tibéria.
Massu traslocò, Tibéria venne a fargli visita per vedere il figlioccio, lei e Jesus s’innamorarono del paesaggio.
In tanti anni di duro lavoro, lei a dirigere la pensione (9), lui a tagliare e cucire tonache (10), non erano riusciti a mettere insieme il sufficiente per comprarsi una casa dove invecchiare. Perché non farsela lì, poco a poco, comprando mattoni e calcina, qualche po’ di pietre, un po’ di tegole per la copertura?
Con quelle due case, quella di Massu, di fango battuto e legno, quella di Tibéria e Jesus di mattoni, ebbe inizio l’invasione.
Come abbia fatto la notizia a giungere a tanta gente non si è mai saputo. Ma una settimana dopo che Jesus ebbe iniziato la sua casa, già trenta baracche all’incirca s’innalzavano al Mata Gato in una straordinaria varietà di materiali, con una profusione di ragazzini, di tutti i colori e di tutte le età. E ogni giorno arrivavano nuovi carretti, portando gente e tavole, cassette, taniche, vecchi fogli di lamiera, tutto quanto potesse servire come materiale da costruzione.
È d’uopo aggiungere che Colpo-di-Vento nel frattempo aveva traslocato. Se n’era andato ad abitare ben più lontano, abbandonando la sua capanna di paglia, subito occupata da dona Filó, negoziante molto perseguitata dalla polizia, specialmente dal Tribunale dei Minori. Commerciava detta signora in bambini, nella fattispecie i suoi propri figli. Ne aveva sette, il più vecchio di nove anni, il più piccino di cinque mesi, e li affittava, a un tanto al giorno, a mendicanti di sua conoscenza per aiutarli nella raccolta delle elemosine. Filó aveva un figlio all’anno, bastava che andasse a letto con un uomo, restava incinta, non c’era verso d’impedirlo. Ognuno dei figli aveva un padre, lei non importunava nessuno dei sette. Con gli stessi bambini si guadagnava da vivere, mentre il più anziano già si preparava a far carriera fra i banditi minorili del porto. Lo avevano già pizzicato a rapinare una pasticceria.
Così ebbe inizio l’invasione del Mata Gato.

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(1) Teiú = grandi lucertole che vengono anche allevate e commercializzate.
(2) Moqueca = tipico piatto brasiliano a base di pesce, verdure, spezie e latte di cocco.
(3) Rapadura = un dolce ottenuto dal succo della canna da zucchero, consistente in zollette più o meno grandi usate anche come dolcificante.
(4) Cachaça = un’acquavite ottenuta dalla distillazione del succo di canna da zucchero.
(5) Bicho = gioco d’azzardo assai diffuso in Brasile, una specie di Lotto ma illegale, gestito spesso da mafiosi.
(6) È la nonna quasi centenaria dello stesso Negro Massu.
(7) L’uso errato della terza persona del verbo al posto della seconda è tipico del dialetto di Bahia.
(8) Sono tutti personaggi che compaiono nel romanzo con maggiore o minore importanza.
(9) La pensione = in realtà si tratta di un bordello.
(10) Jesus è il marito di Tibéria e fa il sarto per gli ecclesiastici.





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