lunedì 11 dicembre 2017

144 Il passero solitario (di Giacomo Leopardi)



Scritto intorno al 1829, ossia al tempo dei “grandi idilli”, questo canto fu posto dal Leopardi stesso (nell’edizione del 1835 delle sue poesie) prima degli idilli composti fra il 1819 e il 1821, quasi si tratti di un’ideale prefazione ad essi. Come in altri componimenti, Leopardi descrive qui la bellezza commovente della primavera e della giovinezza, a cui però sente di non partecipare appieno, poiché vive appartato e in solitudine, come fa il passero; ma mentre l’uccellino non avrà motivo di dolersene (dato che è nel suo istinto vivere in disparte dagli altri), lui proverà, sebbene inutilmente, tutto il rimpianto nostalgico per le gioie della vita che non ha saputo cogliere, pur sentendone il fascino.

D'in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non more il giorno;
ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera d’intorno
brilla nell'aria, e per li campi esulta,
sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore:
tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
canti, e così trapassi
dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
della novella età dolce famiglia,
e te german di giovinezza, amore,
sospiro acerbo de' provetti giorni,
non curo, io non so come; anzi da loro
quasi fuggo lontano;
quasi romito, e strano
al mio loco natío,
passo del viver mio la primavera.
Questo giorno, ch'omai cede alla sera,
festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
odi spesso un tonar di ferree canne,
che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
la gioventù del loco
lascia le case, e per le vie si spande;
e mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
rimota parte alla campagna uscendo,
ogni diletto e gioco
indugio in altro tempo: e intanto il guardo
steso nell'aria aprica
mi fère il Sol che tra lontani monti,
dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua, e par che dica
che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; ché di natura è frutto
ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
la detestata soglia
evitar non impetro,
quando muti questi occhi all'altrui core,
e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
del dì presente più noioso e tetro,
che parrà di tal voglia?
che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
ma sconsolato, volgerommi indietro.

PARAFRASI:

Dalla sommità dell’antica torre [il campanile della chiesa di S. Agostino a Recanati],
passero solitario, su tutta la campagna
vai cantando finché non muore il giorno;
e l'armonia [del tuo canto] si spande per questa valle.
La primavera brilla d’intorno
nell'aria, ed esulta per i campi,
cosicché ad ammirarla il cuore s’intenerisce.
Odi greggi che belano, armenti [branchi di buoi] che muggiscono;
gli altri uccelli contenti, quasi in gara insieme
per il libero cielo fanno mille giri,
solo intenti a festeggiare il loro tempo migliore [la primavera, ma anche la giovinezza]:
tu pensoso in disparte guardi il tutto;
non ti curi dei compagni, non dei voli,
non dell'allegria, eviti gli spassi;
canti, e così trascorri
il più bel fiore dell'anno [la primavera] e della tua vita [la giovinezza].

Oimè, quanto il mio modo di vivere somiglia
al tuo! Il diletto e il riso,
dolci compagni dell’età novella,
e tu, amore, fratello della giovinezza,
acerbo sospiro dei giorni maturi,
io non curo, io non so come; anzi da loro
quasi fuggo lontano;
quasi lontano e solitario, e straniero
al mio luogo natale,
passo la primavera del vivere mio.
Questo giorno, che ormai cede alla sera [volge al tramonto],
si costuma festeggiare nel nostro borgo [è la festa di San Vito – 15 giugno – patrono di Recanati].
Si ode per il [cielo] sereno un suono di campana,
si ode spesso un tuonare di fucili [a salve, in segno di festa],
che rimbomba lontano di villa in villa.
Tutta vestita a festa
la gioventù del luogo
lascia le case, e si spande per le vie;
e guarda ed è guardata, e nel cuore si allegra.
Io solitario uscendo [cioè passeggiando] in questa
remota parte della campagna,
ogni diletto e gioco
rinvio ad altro tempo: e intanto
mi colpisce lo sguardo
disteso nell'aria illuminata
il Sole, che tra i lontani monti,
dopo il giorno sereno,
si dilegua tramontando, e pare che dica
che la beata gioventù vien meno.

Tu, solitario uccellino, quando sarai giunto alla sera [alla fine]
del vivere che le stelle [il destino] ti daranno,
certo non proverai dolore
del tuo costume; perché ogni vostro desiderio [tuo e di tutti gli animali]
è frutto della natura.
A me, se non ottengo di evitare
la detestata soglia
della vecchiaia,
quando questi occhi saranno muti al cuore degli altri,
e il mondo ad essi parrà vuoto, e il tempo futuro
più noioso e tetro del tempo presente,
che cosa sembrerà di tale voglia [di vivere solo]?
che cosa di questi miei anni? che cosa di me stesso?
Ahi mi pentirò, e spesso,
ma sconsolatamente, mi volterò indietro [a guardare il passato].

Un maschio di passero solitario (Monticola solitarius); in Italia vive principalmente nelle zone di montagna, infatti nella Pianura Padana è molto difficile avvistarlo


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