giovedì 28 dicembre 2017

150 La quiete dopo la tempesta (di Giacomo Leopardi)




Composto nel settembre del 1829, poco prima del Sabato del villaggio, assieme a quello è considerato l’espressione più perfetta della poesia idillica leopardiana. Il componimento è suddiviso per contenuto in due parti: nella prima prevale il momento descrittivo del temporale che è finito e della vita che ricomincia felice e tutti (animali e uomini) riprendono le loro faccende quotidiane dopo le minacce e la paura dei fulmini e del vento. Nella seconda si passa alle riflessioni del poeta: il piacere non esiste in sé, esiste soltanto la cessazione del dolore; non la felicità, bensì l’affanno sorge spontaneamente negli uomini, perciò consideriamoci felici se ogni tanto esso ci lascia respirare. La stirpe umana può considerarsi beata se nella morte trova la fine dei suoi tormenti. Ma, al di là di queste desolate affermazioni, si stagliano nette nella poesia le immagini festose della prima parte, che ci ricordano l’insopprimibile amore per la vita di Leopardi.


Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe là da ponente, alla montagna;
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
risorge il romorio,
torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
con l'opra in man, cantando,
fassi in su l'uscio; a prova
vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
della novella piova;
e l'erbaiuol rinnova
di sentiero in sentiero
il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
per li poggi e le ville. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:
e, dalla via corrente, odi lontano
tintinnio di sonagli; il carro stride
del passeggier che il suo cammin ripiglia.

 Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
l'uomo a' suoi studi intende?
o torna all'opre? o cosa nova imprende?
quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
gioia vana, ch'è frutto
del passato timore, onde si scosse
e paventò la morte
chi la vita abborria;
onde in lungo tormento,
fredde, tacite, smorte,
sudâr le genti e palpitâr, vedendo
mossi alle nostre offese
folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
è diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
che per mostro e miracolo talvolta
nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
prole cara agli eterni! assai felice
se respirar ti lice
d'alcun dolor: beata
se te d'ogni dolor morte risana.

 PARAFRASI:

Passata è la tempesta:
odo gli uccelli che fanno festa, e la gallina,
tornata sulla strada,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
erompe là da occidente, verso la montagna;
la campagna si sgombra [delle manifestazioni temporalesche],
e il fiume appare chiaro nella valle.
Ogni cuore si rallegra, da ogni parte
ricomincia il rumore,
ritorna il lavoro consueto.
L’artigiano a guardare l’umido cielo,
con il suo lavoro in mano, cantando,
si affaccia all’uscio; a gara
esce la donnetta a cogliere l’acqua
della recente pioggia;
e l’erbivendolo ripete
di sentiero in sentiero
il suo richiamo giornaliero.
Ecco che ritorna il Sole, ecco che sorride
per i poggi e le ville. Apre i balconi,
apre i terrazzi e le logge la servitù:
e, dalla via maestra, odi in lontananza
un tintinnio di sonagli; stride la carrozza
del passeggero che riprende il suo cammino.

Ogni cuore si rallegra.
Così dolce, così gradita
come ora, quand’è la vita?
Quando con tanto amore
l’uomo attende alle sue occupazioni?
o torna alle sue faccende? o ne intraprende di nuove?
quando si ricorda meno dei suoi mali?
Il piacere è figlio dell’affanno;
gioia vana, che è frutto
del passato timore, a causa del quale si riscosse
ed ebbe paura della morte
chi la vita detesta,
a causa del quale per un periodo lungo e tormentoso,
fredde, tacite, smorte,
le persone sudarono e palpitarono, vedendo
scatenati per offenderci [per recarci offesa, male]
le folgori, le nuvole e il vento.

O natura cortese,
questi sono i tuoi doni,
queste sono le gioie
che tu porgi ai mortali. Uscire dalla pena
è il nostro [unico] diletto.
Tu spargi dolori a piene mani; il dolore
sorge spontaneo: e quel tanto di piacere
che talvolta quasi fosse un prodigio e un miracolo
nasce dall’affanno, va considerato un gran guadagno. Umana
stirpe cara agli dei! Assai felice
se ti è lecito [se ti riesce] riprenderti
da uno dei tuoi tanti dolori: beata
se la morte ti guarisce da ogni dolore.




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