domenica 31 dicembre 2017

153 A se stesso (di Giacomo Leopardi)




Composta nel 1833, questa canzone nasce dal crollo dell’ultima illusione del poeta, l’amore (non corrisposto) per Fanny Targioni Tozzetti, che per un breve istante gli aveva fatto credere possibile la felicità in terra. Il disinganno è completo, ogni illusione è definitivamente scacciata. Tutto nella vita conduce alla morte, al danno per tutti gli esseri: tutto è un’infinita vanità.

 
Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.

PARAFRASI:

Ora avrai posa per sempre,
mio stanco cuore. Morì l’estremo inganno,
che io credevo eterno. Morì. Sento bene,
che in me dei cari inganni,
non solo la speranza, ma è spento persino il desiderio.
Posa per sempre. Assai
hai palpitato. Non valgono niente
i tuoi moti, né è degna di sospiri
la terra. Amarezza e noia
la vita, nient’altro; e il mondo è fango.
Quietati ormai. Disperati
per l’ultima volta. Al nostro genere il destino
non ha donato che la morte. Ormai disprezza
te stesso, la natura, il brutto
potere che, nascosto, comanda al danno comune,
e l’infinita vanità di ogni cosa.









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